Ha fatto recentemente notizia lo sciopero generale delle donne avvenuto in Islanda, che ha coinvolto anche la premier Katrìn Jakovsdòttir. Ha fatto notizia anche in Italia, perché pensare ad un’azione come questa nel nostro Paese è ad oggi quasi impensabile, purtroppo. Lo sciopero è nato per sensibilizzare riguardo al problema sociale del divario di retribuzione tra uomini e donne, ma si concentra anche sui temi delle violenze sessuali e delle violenze di genere.
La questione principale è quella del gender gap o gender gap pay, la differenza media che esiste tra i salari orari lordi percepiti da donne e uomini. Il calcolo non viene fatto sulla base dello stipendio mensile ma su quello orario, per avere un bilancio più oggettivo, senza tenere in considerazione alcuni fattori che incidono naturalmente sul totale mensile, quale la differenza tra contatto full-time e contratto part-time.
Alcuni dati
Facendo riferimento ai dati italiani in media le donne percepiscono uno stipendio orario lordo pari al 5% in meno rispetto agli uomini, stando ai dati riportati al 2021. Il valore sopracitato è un valore medio che fa riferimento all’insieme dei settori produttivi e lavorativi italiani, ma il valore specifico varia a seconda del settore in esame. Ne risultano maggiormente interessati i settori della finanza, della sanità e dello spettacolo.
Una percentuale come quella del 5% apparentemente non sembra molto consistente ma basta fare quattro calcoli. Mediamente a parità di ore lavorative in un mese, sottolineiamo mediamente, un uomo può percepire ad esempio €1500 lordi, contro i € 1425 percepiti da una donna. In un anno la differenza risulta essere in questo esempio di € 900. Il che non è poco, se consideriamo che la differenza non è giustificata sulla base di diverse competenze ma semplicemente per il genere.
Il Global Gender Gap Report del 2023, portato alla nostra attenzione dal World Economic Forum, ha stillato una classifica tra i vari Paesi del mondo e ha individuato l’Italia al settantanovesimo posto, circa a metà della classifica. Non è una posizione di cui andare fieri.
Quali sono i motivi alla base del gender gap?
Quali sono i motivi che stanno alla base di questi dati? Sicuramente una parte importante della questione appartiene ad un fattore culturale che vede la figura femminile ancora legata ad un contesto domestico e soprattutto familiare e che quindi associa alla donna una figura professionale meno “affidabile” rispetto ad un uomo. L’idea ancora troppo comune è che una donna non possa condurre una carriera continuativa e lineare senza interruzioni familiari legate alla maternità. Il problema in questo caso è su più livelli.
Anzitutto c’è alla base l’idea quasi stacanovista che la carriera debba per forza essere anteposta a quella privata e personale. In secondo luogo, gli strumenti a disposizione di una coppia che sceglie di mettere su famiglia sono squilibrati, se pensiamo che il congedo di paternità in Italia è garantito per 10 giorni.
Un fattore importante da considerare è inoltre legato alle posizioni ricoperte da uomini e donne. Spesso le donne faticano ad avanzare nella propria carriera e troppo spesso le posizioni di potere sono per lo più ricoperte da figure maschili, il che fa chiaramente nascere un divario di retribuzione proporzionato al divario nelle posizioni ricoperte all’interno di un’azienda.
Il divario nasce anche da una differenza a livello occupazionale. Quindi la differenza non sta solo all’interno di un contesto lavorativo tra uomini e donne, ma deve anche tener conto di una situazione in cui il numero di uomini che lavora è maggiore rispetto a quello femminile. Secondo report che fanno riferimento al tasso occupazionale europeo, la differenza è di 10,7 punti percentuali tra uomini e donne, che in Italia sfiora addirittura il doppio.
Un fattore da considerare, anche se non influenza in maniera massiva i numeri, è quello delle discriminazioni e degli episodi di molestie, violenze verbali e fisiche e abusi avvenuti sul luogo di lavoro in maniera più penalizzante per le donne.
Quali sono le azioni concrete per colmare il gender gap?
Il problema esiste ed è concreto. Anche senza i dati, se pur fondamentali, la questione è sotto gli occhi di tutti. La domanda che dunque sorge spontanea è: quali sono le azioni concrete che possono essere messe in atto a livello istituzionale e legislativo per ridurre il gender gap? Esistono delle misure che l’Italia ha messo a punto in questi ultimi anni?
Se dobbiamo individuare delle possibili soluzioni dobbiamo fare riferimento alle cause analizzate. Un primo fattore è quello culturale, ed è il più difficile sul quale agire. Le azioni potrebbero essere indirizzate alla sensibilizzazione riguardo al problema e alla promozione di una concezione culturale e lavorativa maggiormente inclusiva. A partire dalla formazione scolastica, sarebbe bene investire sulla formazione di un pensiero critico negli studenti nei confronti della società e dello status quo. La formazione, tuttavia, non può e non deve fermarsi soltanto a livello scolastico, ma deve al contrario penetrare in maniera capillare negli enti e nelle aziende, attraverso eventi ed incontri di sensibilizzazione gestiti da una rodata sezione di Risorse Umane.
Riguardo invece alle differenti opportunità che vedono protagonisti donne e uomini, sarebbe il caso di adottare delle leggi che garantiscano la parità salariale, offrendo una maggiore equità nel rapporto tra vita privata e vita professionale. Una maggiore flessibilità riguardo alle esigenze dei lavoratori potrebbe essere la strada giusta, in modo che possa garantire la possibilità alle donne di convivere più facilmente con la propria dimensione di donne lavoratrici e con quella di madri e lo stesso per gli uomini.
Nel 2020 l’Italia ha presentato un Piano Operativo a riguardo che mira a diminuire questo divario entro il 2025. Le proposte dei vari partiti sono legate ad un “Piano straordinario per l’occupazione femminile”.
Una legge che garantisce la parità salariale in Italia esiste già, ed è stata firmata il 3 dicembre 2021, con lo scopo di affrontare il problema del gender gap e di incoraggiare la partecipazione femminile al mondo del lavoro. I vari partiti puntano dunque su un rafforzamento di tale legge.
Un ulteriore obiettivo che l’Italia si pone è quello di approvare una legge sulla co-genitorialità, che quindi garantisca una parità a livello di congedi di maternità e congedi di paternità. Lo scorso 2022 è entrato in vigore un nuovo congedo di paternità obbligatorio, rivolto ai padri lavoratori dipendenti, che vale anche in caso di adozione e affidamento. Ma anche in questo caso la differenza è sostanziale se pensiamo che un uomo ha diritto a 10 giorni obbligatori per il congedo di paternità mentre una donna a 5 mesi.
Non solo gender gap pay
Come ogni fenomeno, anche quello del gender gap va analizzato nella propria interezza, tenendo in considerazione più fattori che vanno a toccare aspetti culturali ormai cristallizzati e ruoli a cui siamo abituati ad aderire. Il mondo lavorativo di per sè è un mondo nel quale la lotta alle disuguaglianze è una componente che deve essere sempre implementata.
Il gender gap, dunque, tocca diversi punti e non è da associare semplicemente al gender gap pay. Nello specifico il gender gap pay fa riferimento alla differenza salariale. Il gender gap è un fenomeno più ampio che va a toccare diversi aspetti culturali legati ad un discorso di ruoli. La disuguaglianza si percepisce anche nella difficoltà maggiore che hanno le donne a trovare un posto di lavoro e a mantenerlo in maniera continuativa nel tempo, oltre alla maggiore difficoltà femminile nell’accedere a posizioni di livelli lavorativi superiori.