Siamo pronti a lasciar andare la nostra innocenza? Ecco cosa risponde la filosofia4 Minuti di Lettura

Scritto da Elisa Poletti

Laureata in Filosofia

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La recente scomparsa del cantante Liam Payne fa sorgere una riflessione. Sia che si appartenga alla generazione degli One Direction, sia che non si conoscano le loro canzoni, la scomparsa del giovane è il simbolo della strana sensazione che ci attanaglia quando sentiamo che la nostra innocenza è terminata. Ad ognuno è capitato, con la morte di una persona vicina o lontana, di un amico, un cantante, un attore. Qualcuno che ha rappresentato per noi un pezzo della nostra storia, un periodo idilliaco nel passato e la cui dipartita ha segnato la fine di un’era, che in fondo si era già conclusa. La scomparsa di chi associamo a quell’era ci fa rendere conto che non è possibile tornare indietro.

Nello specifico ognuno associa dei personaggi alla propria infanzia o adolescenza, ovvero all’epoca dell’innocenza. Il concetto di innocenza ha affascinato i filosofi per secoli, oscillando tra interpretazioni etiche, metafisiche e antropologiche. La riflessione filosofica sull’innocenza si intreccia spesso con nozioni come il peccato, la conoscenza, la libertà e la responsabilità morale, portando a una molteplicità di visioni che variano tra le epoche e le scuole di pensiero.

L’innocenza come elemento positivo

Uno dei punti di partenza più noti è senza dubbio il mito biblico del Giardino dell’Eden, interpretato in chiave filosofica da molte correnti. Adamo ed Eva, nel loro stato di innocenza, vivevano in armonia con la natura e con Dio, privi di consapevolezza del bene e del male. La loro caduta, causata dal desiderio di conoscere, simboleggia il passaggio dall’innocenza all’esperienza, dal paradiso dell’ignoranza morale alla complessità della scelta e della responsabilità. Qui, l’innocenza viene intesa come uno stato di non conoscenza, una condizione di purezza originaria che, però, limita la libertà di discernere il giusto dallo sbagliato.

Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nella sua riflessione sulla moralità, vede l’innocenza come uno stato primordiale da cui l’essere umano, inevitabilmente, si allontana. Per Kant, la moralità è legata alla capacità di scelta razionale e alla consapevolezza della legge morale. L’innocenza, quindi, è uno stato precedente al riconoscimento di tali leggi, un’ignoranza della ragione morale. In questo senso, l’innocenza non è un ideale da preservare, ma una fase di transizione verso l’autonomia morale e la libertà.

Jean-Jacques Rousseau, invece, offre una visione più romantica e radicale dell’innocenza, particolarmente nella sua concezione dell’uomo primitivo nello stato di natura. Rousseau descrive l’uomo naturale come innocente, libero dai vizi e dalle corruzioni della civiltà. Per lui, la società è ciò che corrompe l’innocenza originale dell’uomo, introducendo desideri artificiali e disuguaglianze. Il celebre aforisma “l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene” riflette questa visione: l’innocenza originaria viene soffocata dai costrutti sociali e dalle convenzioni. Rousseau idealizza questo stato di innocenza, vedendolo come una condizione di purezza morale, un’armonia con la natura che la società moderna ha irrimediabilmente compromesso.

L’innocenza come una forma di debolezza

Un’altra prospettiva filosofica interessante si trova in Friedrich Nietzsche. Contrariamente a Rousseau, Nietzsche vede l’innocenza come una forma di debolezza, un rifugio per chi non ha il coraggio di affrontare la complessità della vita e della volontà di potenza. Nella sua visione, l’innocenza è un mito confortante, una scusa per evitare la piena assunzione di responsabilità e creatività nella creazione dei propri valori. Il “superuomo” nietzschiano trascende l’innocenza, accettando il caos, il divenire e la responsabilità di forgiare un proprio cammino senza appoggiarsi a concetti morali preesistenti.

Infine, nel pensiero esistenzialista di Søren Kierkegaard, l’innocenza è vista come un momento essenziale nell’evoluzione spirituale dell’individuo. Kierkegaard descrive l’innocenza come un “sogno” dal quale l’essere umano si sveglia al momento del primo atto di scelta morale. Questa scelta implica l’assunzione della colpa e della responsabilità. L’innocenza, dunque, non è uno stato permanente, ma un punto di partenza da cui si evolve verso la fede e la piena consapevolezza di sé. In un certo senso, per Kierkegaard, la perdita dell’innocenza è una condizione necessaria per avvicinarsi a Dio e al significato della propria esistenza.

L’innocenza, nella filosofia, è spesso legata a un paradosso: è uno stato di purezza, ma anche di limitazione, poiché implica una mancanza di consapevolezza. Nella storia del pensiero occidentale, la tensione tra l’innocenza e la conoscenza, tra la purezza e la caduta, ha sempre avuto un ruolo centrale nel dibattito sulla condizione umana. Se da un lato l’innocenza può sembrare desiderabile per la sua assenza di corruzione, dall’altro è la sua perdita che ci rende pienamente umani, capaci di scegliere e di forgiare il nostro destino.
Per chi vuole approfondire queste questioni è consigliata la pellicola L’innocenza, del 2023 (foto di apertura), un’occasione per comprendere le differenze di punti di vista della realtà.

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