“Tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi.” Con queste parole Friedrich Nietzsche nel suo celebre libro “Così parlò Zarathustra” espone il concetto dell’eterno ritorno dell’uguale. Nietzsche introduce la figura del Superuomo come un uomo nuovo, una sorta di miglioramento ed evoluzione di esso. Non crede nello spiritualismo e nella metafisica, al contrario crede che la vera felicità sia situata solo nella vita terrena.
Tale figura è l’unica in grado di accettare con un gioioso sì pronunciato nei confronti della vita, terrena, l’eterno ritorno dell’uguale.
Il concetto di eterno ritorno in “Così parlò Zarathustra”
L’eterno ritorno è una concezione ciclica e ripetitiva del tempo e della vita. L’universo, secondo questa concezione nasce e muore sempre allo stesso modo, attraversando continuamente il medesimo corso. La figura metaforica che sta ad indicare questo scorrere del tempo è il serpente che si morde la coda, già in epoca egizia ed ellenistica, simbolo della circolarità e dell’eternità.
Tale caratteristica del tempo impedisce all’uomo di realizzare i propri obiettivi, proprio perché il tempo è senza fine. Come un uomo che si ritrova a scalare una montagna, con l’obiettivo di arrivare in cima. Se la montagna è infinita, l’uomo trascorrerà la sua intera vita a raggiungere una meta a cui strutturalmente non gli è possibile arrivare. La conseguenza di tale abisso temporale è la paura e l’inerzia che può provocare nell’animo umano. Il pensiero che ciò che ci aspetta è un ciclo infinito, senza una meta, abbatte anche la più forte delle speranze. È vero anche che una prospettiva del genere è in grado di ridimensionare l’importanza che l’uomo dà alle preoccupazioni e alle difficoltà che gli si presentano nel corso del cammino. La consapevolezza che il viaggio sia un eterno cammino ciclico aiuta a dare il giusto peso agli ostacoli.
La domanda che ha posto Nietzsche ai propri lettori è la seguente: se un giorno, qualcuno ti rivelasse che la tua vita è ciclica, un eterno ritorno dell’uguale e che dovresti rivivere all’infinito esattamente tutto quello che hai già vissuto, come reagiresti? Ne saresti sopraffatto? Oppure come il Superuomo accetteresti con entusiasmo tale destino?
Lo spazio della volontà
La ciclicità e la ripetitività delle stesse cose ci spaventa. In molte culture questa è addirittura la rappresentazione dell’Inferno: essere costretti a rivivere le stesse situazioni ripetute all’infinito. Ciò che spaventa, oltre che la monotonia, è legata all’azzeramento della volontà. Se le cose sono destinate a ripetersi eternamente uguali a loro stesse, qual è lo spazio proprio della volontà umana? Non potendo avere la possibilità di scegliere e di raggiungere gli obiettivi che autonomamente ognuno si propone, la conseguenza è quella della rassegnazione.
Dall’altro lato però è possibile che questa prospettiva, secondo Nietzsche, soddisfa la volontà di potenza, che è il senso dell’essere, ovvero autoaffermazione ed auto potenziamento. Se la nostra vita è parte dell’eternità significa che ogni nostra piccola azione diviene parte dell’eternità, in tal modo le nostre azioni rimangono infinite, parte della circolare ripetizione del tempo e sopravvivono a noi. Accade però che qualcuno possa spezzare tale eternità, nell’opera “Così parlò Zarathustra” la figura è rappresentata da un pastore che taglia la testa al serpente, spezzando così la ciclicità. Un’azione del genere, non è qualcosa che tutti possono compiere facilmente, ma è un’azione che è rappresentazione reale della sua volontà e ciò lo afferma come signore dell’eternità del tempo.
L’idea di vita ciclica come riflessione sulla direzione della nostra esistenza
Proviamo per un secondo a riflettere su tali questioni. Se oggi qualcuno ci dicesse che dobbiamo vivere in eterno la nostra vita saremo davvero felici? Per esserlo la nostra vita sarebbe dovuta trascorrere senza brutti momenti o dolorose esperienze. Il che è impossibile, ma questa domanda paradossale e provocatoria può essere uno spunto interessante, per analizzare e capire cosa davvero possiamo salvare nella nostra vita e cosa invece stiamo sbagliando. La distinzione necessaria da fare è tra ciò che siamo in grado di scegliere e quello che invece semplicemente ci capita. Su quello che ci capita, indistintamente dalla nostra volontà, non abbiamo potere se non quello di scegliere come reagire. Su ciò che possiamo scegliere, sugli obiettivi che ci prefissiamo e su come vogliamo dirigere la nostra esistenza abbiamo un minimo potere.
Riuscire a capire cosa è giusto tenere nella nostra vita e cosa invece è importante buttare è fondamentale per avvicinarci quantomeno alla felicità.
È interessante fare un ultimo appunto, la vita a noi pare uguale e monotona tendenzialmente, quasi appiattita. Il motivo è che abbiamo numerose possibilità di fare, comprare, spostarci, mangiare. La moltitudine attira ma allo stesso tempo stanca, si trasforma presto in monotonia e tutto quello che facciamo, se pur diverso ci pare uguale, perché siamo noi ad essere uguali. Senza lo stimolo del miglioramento il rischio è quello del personaggio del libro di Nietzsche, di scoraggiarsi considerando l’esistenza un ciclico ripetersi di eventi e situazioni, senza poter raggiungere mai davvero la meta che ci si è prefissati.
Per questo le riflessioni del filosofo sono paradossalmente attuali. Nietzsche è stato associato a numerosi correnti di pensiero, alcuni hanno visto persino nella figura del Superuomo una vicinanza alle figure dei dittatori europei del secolo scorso. Ma al di là delle varie interpretazioni politiche che si possono dare al suo pensiero, è interessante notare come una storia estremamente metaforica come quella presentata, racchiuda in sé uno spunto per poterci mettere in discussione e per rivalutare cosa nella nostra vita ci soddisfa e cosa meno. E tu, se ti dicessero che dovrai rivivere la tua vita all’infinito, cosa faresti?