Bontà e animali. Molto spesso ci capita di sentire frasi del tipo: “Solo gli animali possono insegnarci davvero cosa sia la bontà, o l’altruismo”. Questo è vero, ma gli animali davvero godono di quelle virtù che noi consideriamo? O semplicemente seguono la propria natura e siamo piuttosto noi a rivestirli di virtù umane?
Plutarco aveva affrontato la questione al meglio. Secondo il filosofo essere buoni verso gli animali era un utile esercizio di benevolenza verso gli altri uomini. Non perché, dunque, l’animale potesse essere davvero portatore di una qualche virtù di bontà, ma perché la cura da parte dell’uomo nei confronti dell’animale doveva essere un esercizio per migliorare la propria tendenza alla virtù. Il che rende l’uomo magnanimo, non importava forse la reale motivazione che sta dietro alla bontà, basta semplicemente l’agire, se l’agire è conforme ai principi etici e virtuosi allora l’uomo è magnanimo. Questo è certamente riduttivo, e potrebbe essere un rischio di generalizzazione a cui va incontro il pensiero di Plutarco.
A questo punto potrebbe essere inserire nella riflessione il concetto di sensibilità di Jean-Jacques Rousseau. Egli riteneva che l’essere umano fosse legato all’ambiente circostante, in modo tale che l’uno influenzasse reciprocamente l’altro. Lo spazio esterno agisce inevitabilmente sulla costituzione sensibile dell’uomo, allo stesso modo la personalità individuale può portare all’oggettiva percezione del mondo esteriore modificazioni importanti e determinanti. Tali relazioni che intercorrono tra l’essere umano e lo spazio circostante provocano nell’uomo una costruzione dello spazio che non è passiva ma implica l’attiva costituzione di istanze morali. Nelle sue riflessioni legate al rapporto tra l’essere umano e gli altri animali, Rousseau sostiene che gli animali dovrebbero far parte del diritto naturale, perché senzienti e sensibili, capaci di provare dolore e piacere come l’uomo.
Se per un certo verso gli animali sono sensibili, non è del tutto certo che siano portatori di una vera e propria virtù morale, non come la intendiamo noi per lo meno.
Gli animali sono predisposti alla virtù, perché la loro maestra è la natura. Anche questa convinzione, avvalorata nel corso della filosofia antica, è da analizzare. La riflessione di un filosofo contemporaneo ricalca questa convinzione e aggiunge che ciò non può che venire a beneficio dell’essere umano. È interessante notare come anche le riflessioni più inclini a considerare l’animale come protagonista del discorso, trovino sempre il modo di far ruotare tutto attorno all’essere umano.
Il filosofo sopra citato è Ludwigh Feuerbach, filosofo tedesco tra i più influenti critici della religione. Feuerbach sosteneva che nella fedeltà della bestia, dell’animale dunque, si potesse trovare il compenso agli inganni dell’essere umano. Feuerbach, sostenendo che ogni essere umano sia in sé infinito e sia in sé il proprio dio, non trova difficile individuare nell’animale la vera fedeltà, perché è ciò che è osservabile. Tutti possiamo fare esperienza della fedeltà e della lealtà animale, più difficile è individuare tali virtù in Dio, in questo caso serve la fede.
L’animale in quest’ottica, tolto dalla corruzione umana, può essere considerato più virtuoso. Ma questo pensiero è molto pericoloso, considerare un animale e la natura come esempio di virtù morale non è una scelta facile e lineare. La natura, infatti, di per sé non è positiva, non è nemmeno esempio di virtù. La natura segue le proprie regole che sono avulse dal concetto virtuoso, che è al contrario un concetto propriamente ed esclusivamente umano. Un animale vive e muore secondo il ciclo della vita, predomina la legge del più forte o per meglio dire del meglio adattato all’ambiente circostante. Questo potrebbe essere forse considerato come principio di virtù da trasporre all’essere umano? Ovviamente no, altrimenti si incapperebbe in quegli esempi della storia che tanto vogliamo dimenticare, come i tentativi di eugenetica. Li vorremmo dimenticare perché portano con sé un senso di vergogna per quanto l’essere umano è stato in grado di fare. Dunque, l’uomo non può essere una bestia, non può compiere letteralmente bestialità, ma al contrario si pensa che l’uomo dovrebbe tendere alla bontà e se vogliamo all’innocenza animale. Tali riflessioni sarebbero propriamente più coerenti se si considerasse l’animale per quello che è, ovvero un animale. Portatore di sensibilità e per questo detentore di diritti, a non essere ucciso o maltrattato. Ma allo stesso tempo è un animale che segue l’istinto e che non può rispondere ai concetti di virtù così come la intende l’essere umano.