SAN PATRIGNANO: UNA STORIA CHE DIVIDE L’OPINIONE PUBBLICA DA DECENNI5 Minuti di Lettura

Scritto da Elisa Poletti

Laureata in Filosofia

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Vincenzo Muccioli nasce a Rimini nel 1943, primo di due figli. Imprenditore italiano e controversa figura, al centro di numerosi dibattiti di carattere sociale, morale e culturale negli anni ’70 del secolo scorso.
Nella prima metà di quegli anni Muccioli eredita dal matrimonio con la moglie un podere nel comune di Coriano, che sfrutta per dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento di pregiate razze canine.
Gli anni ’70 sono anche gli anni del boom dell’eroina in Italia. Molti, soprattutto giovani, ne divennero dipendenti. La fama di tale droga non toccò soltanto chi ne faceva uso diretto, ma si diffuse in maniera capillare nell’opinione pubblica, e iniziò a delinearsi come un problema.
Un tossicodipendente era stereotipato come negletto, un personaggio inutile alla società, spesso abbandonato dallo Stato. Una persona pericolosa, pronta a commettere reati e privo di volontà, un reietto insomma. La percezione che la popolazione aveva dei tossicodipendenti era di assoluto rifiuto e la situazione peggiorò quando negli anni ’80 si diffuse tra i tossicodipendenti il virus, allora letale e incurabile, dell’HIV.

Immagine tratta da corriereromagna.it

La storia di San Patrignano

All’inizio degli anni ’70, quando la situazione sopra descritta era nel vivo, Vincenzo Muccioli decise di convertire il podere adibito ad agricoltura e allevamento in un centro di recupero per tossicodipendenti. Nasceva San Patrignano, dal nome della via d’accesso al podere. La prima ragazza accolta fu un’amica della famiglia di Muccioli ma ben presto il podere aprì le porte anche a molti altri ragazzi con tossicodipendenza, fino a rendere la struttura una delle più importanti in Europa.
L’Italia degli anni ’70 non tutelava in alcun modo i ragazzi che soffrivano di tale dipendenza e le azioni dello Stato furono molto esigue o nulle. Bisognerà aspettare la Legge Basaglia del 1978. Con tale provvedimento legislativo venne decretata la chiusura dei manicomi, strutture riconvertite in seguito come punto di riferimento per il recupero delle persone tossicodipendenti. Il trattamento non era semplice da individuare, poiché i farmaci utilizzati fino ad allora dal personale dei manicomi non sortivano alcun effetto sui tossicodipendenti, anzi peggiorava la situazione, aggiungendo un ulteriore dipendenza da farmaci.
La realtà di San Patrignano era molto diversa. L’idea era quella di una comunità di recupero, non di un luogo dove rilegare i ragazzi, escludendoli dalla società. Gli ospiti, nell’idea iniziale di Muccioli, dovevano sentirsi parte di un gruppo basato sulla condivisione e sulla collaborazione nella crescita della comunità stessa. La struttura era gestita dai ragazzi che si dividevano i compiti di pulizia, manutenzione della struttura, mansioni nell’agricoltura e nell’allevamento.
Quello che però va considerato era il periodo di difficoltà affrontato da un tossicodipendente che sceglieva di far parte della comunità, specie nei momenti iniziali della sua permanenza a San Patrignano, segnati da forti crisi di astinenza. I sintomi di tale crisi sono anzitutto psicologici, tutte le azioni, spesso irrazionali e aggressive, sono volte al raggiungimento della sostanza, a qualsiasi costo. Un tale stress psicologico è legato anche ad un compendio di sintomi fisici, tra i quali dolore muscolare, nausea e vomito, sudorazione e lacrimazione, dissenteria e crampi allo stomaco. Non basta certamente creare una comunità di ragazzi ben integrata per far fronte ad una situazione così delicata. In quegli anni le metodologie utilizzate per trattare tali crisi non erano certo ben delineate.
I metodi di Muccioli e della sua comunità furono oggetto di controversie, che sfociarono nel 1978 nel celebre “processo delle catene” a danno dello stesso Muccioli. Nel 1980, a seguito di una perquisizione da parte dei Carabinieri nella struttura, emersero le tecniche utilizzate per evitare che i ragazzi in preda a crisi di astinenza diventassero pericolosi per se stessi e gli altri: venivano incatenati, anche al pavimento e rinchiusi in un canile. La notizia ebbe una grande eco nell’opinione pubblica di allora. Muccioli venne arrestato per maltrattamenti e sequestro di persona, poi assolto. La spirale di violenza crebbe fino agli anni ’90 quando vennero alla luce suicidi e un omicidio avvenuto all’interno della comunità. Per questi fatti specifici Muccioli non venne condannato, al contrario nel 1989 ottenne 8 mesi di reclusione per favoreggiamento, ai quali venne riconosciuta l’attenuante per aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale.

Una realtà controversa

La questione è delicata e ha spaccato l’opinione pubblica in due. Da un lato c’è chi sosteneva e sostiene tutt’oggi che la figura dell’imprenditore romagnolo fosse quella di un eroe, un filantropo. Un uomo che aveva contrastato la tendenza ad abbandonare e recludere i ragazzi tossicodipendenti, creando una realtà che in fin dei conti salvò la vita a migliaia di persone. Con metodi burberi e poco ortodossi, San Patrignano era riuscita ad aiutare un incredibile numero di persone, per questo in prima linea in tutta Europa. L’imprenditore era riuscito ad avviare un meccanismo in grado di strappare questi ragazzi dalla spirale della tossicodipendenza e reintegrarli nella società, in un momento storico in cui lo Stato italiano non sembrava offrire possibilità simili.
Dall’altro lato però emerge la figura di un uomo controverso, con principi morali molto forti, che agiva in un clima di violenza, obbligazione e reclusione fisica dei membri della comunità. Un uomo sottoposto dallo Stato stesso a numerosi processi per maltrattamento, sequestro di persona e favoreggiamento. Gli ideali che avevano caratterizzato la nascita di San Patrignano, con gli anni andarono a perdersi. Le dimensioni della struttura aumentarono e la figura di Muccioli non fu più sufficiente. Diede il compito di controllare e disciplinare i membri della comunità ad individui che secondo molte testimonianze interne, scelsero metodi piuttosto duri per raggiungere lo scopo.
La questione è appunto spinosa, come rappresentato dalla condanna di Muccioli: favoreggiamento, con attenuante per motivi di particolare valore morale o sociale. Si potrebbe estendere la questione in senso lato: è forse giustificabile fare del male quando lo scopo ultimo è fare del bene?
E siccome Kafka scriveva: Il male conosce il bene, ma il bene non conosce il male, il confine diventa più sottile. È difficile, forse impossibile definire un male ed un bene assoluti, che non si influenzano e non si toccano. Il bene e il male al contrario si accarezzano e spesso si fondono insieme in una moltitudine di sfaccettature.

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