Dalla mente di Paolo Virzì, emerge un affresco toccante e accurato dell’attuale società italiana. Ormai sono trascorsi nove anni da quando è uscito nelle sale il film “Il capitale umano”, anche se non sembra che da allora sia davvero cambiato qualcosa.
La scelta del titolo è interessante. Il capitale umano viene inteso come l’insieme di capacità e conoscenze che una persona possiede. In ambito lavorativo è il valore aggiunto che un dipendente possiede, ciò che lo contraddistingue all’interno di un’azienda. In ambito giuridico, questo concetto viene declinato dalle perizie assicurative in termini di risarcimento in caso di morte di un soggetto. Tale calcolo viene effettuato sulla base della salute e delle aspettative di vita dell’individuo, delle sue relazioni e delle sue capacità.
Marx per primo parla di un concetto simile a quello di capitale umano. Nella sua famosa opera ‘Il capitale’ delinea le caratteristiche dei processi produttivi in epoca capitalista. Il concetto è molto semplice e si può riassumere in Denaro-Merce-Denaro. Il capitalista investe denaro per produrre una merce, con lo scopo di avere ulteriore denaro da reinvestire. Sarebbe più proprio parlare di Denaro-Merce-Più Denaro perché l’investimento iniziale è inferiore rispetto al guadagno finale. Ciò che per Marx genera questo plusvalore è essenzialmente l’uomo. Nello specifico è la forza-lavoro dell’uomo, intesa come insieme delle caratteristiche, capacità, competenze ed intuizioni umane.
Già tentare di definire il valore di una persona o per lo meno cercare un corrispettivo quantitativo della vita di un essere umano è controverso. Il film di Virzì tratta in maniera delicata ma efficace la questione.
La storia è quella di due famiglie, due stili di vita diversi: uno modesto e l’altro opulento. Le loro strade si incontrano e si incrociano la sera della Vigilia di Natale, quando un ciclista viene investito con l’auto di Massimiliano, figlio dell’imprenditore Bernaschi.
I veri protagonisti sono tre: Dino Ossola, agente immobiliare squattrinato alla ricerca del “grande colpo” della vita, che gli possa regalare uno status sociale ed economico migliore; Carla, moglie di Bernaschi e Serena, figlia di Dino. Ognuno a modo suo rappresenta una di quelle che potremo definire le pieghe della nostra esistenza.
Dino è la personificazione non soltanto dell’uomo italiano che cerca di arrivare, come può, a fine mese. Ma è anche personificazione di un uomo che tenta di dare una svolta alla propria vita. Non più un ragazzo, si trova di fronte a tutta la serie infinita di sbagli che ha commesso. Non che non si possa salvare nulla, come spesso accade. Ciò che lo blocca è la monotonia, l’essere continuamente impantanato in un limbo di mediocrità che lo logora a poco a poco. Così si getta in questa impresa al di sopra delle proprie capacità, economiche e non solo, e diventa socio del fondo della controversa figura del Bernaschi, un ricco imprenditore che nella pellicola di Virzì rappresenta l’anti-eroe. Colui che con il suo successo opulento, sbatte in faccia a Dino ciò che egli non ha, ciò che ha sbagliato e come ha fallito.
È vecchia quanto il mondo la solfa che i soldi non fanno la felicità, ed è vero. Ma è vero in parte. Non è solo il denaro che ci permettere di mettere il cibo in tavola e pagare le rate del mutuo per avere un tetto sopra la testa. È quel denaro che ci dà forza, autostima, coraggio, quel denaro che ci dà l’impressione di avere qualcosa in più rispetto agli altri, qualcosa che solo noi possediamo. Non tutti sono in grado di avere l’intuizione della vita e fare centro, e l’obiettivo ultimo sembra essere proprio questo: non tutti riescono, quindi, chi vi riesce ha un valore in più, delle capacità in più. È forse questo il capitale umano? È questo tipo di valore che ci potrebbe elevare al di sopra degli altri, egocentricamente parlando?
Per rispondere a questa domanda, è opportuno introdurre la figura di Carla, moglie del Bernaschi. Una donna tanto sensibile quanto opportunista, vittima e carnefice insieme di un meccanismo sbagliato fondato sull’apparenza e sui giochi di forza su cui il denaro fa leva. Una figura fragile e forte insieme, adombrata da quella del marito, succube della sua volontà e del suo agire. Carla è impantanata in una vita dove non le è permesso esporsi e non le è nemmeno concesso esprimere le sue ambizioni. Tenta di ristrutturare un vecchio teatro per ridare un senso di continuità e utilità alla sua esistenza e alla comunità che la circonda, ma quando la crisi colpisce gli interessi del marito, le viene tolta anche questa opportunità. Il capitale umano in questo caso potrebbe essere riconosciuto nella capacità che ha una persona di essere resiliente a ciò che capita. Spesso ci ritroviamo nella situazione di non vedere uno sbocco diverso da quello che ci è stato messo davanti, eppure tentiamo e ritentiamo di raggiungere la felicità che tanto bramiamo.
E infine il film presenta la terza protagonista: Serena, la figlia di Dino. Su di lei e su Massimiliano, il figlio di Bernaschi, grava tutto il peso di una società che ai giovani chiede ma spesso non dà. Una società che richiede responsabilità e grandi prestazioni, ma senza un’adeguata retribuzione. Se il capitale umano per un’azienda è rappresentato dalle capacità di un lavoratore di riuscire nella sua mansione, dando anche un apporto personale al proprio lavoro, dovremo forse chiederci se questo capitale umano è equamente riconosciuto e retribuito. Non parlo solo in termini economici, ma anche in termini umani appunto. Massimiliano è intrappolato nel tentativo di essere abbastanza agli occhi del padre e Serena cerca di mostrare disperatamente che quello che sembra a volte non è. Due ragazzi allo sbando, lasciati soli nelle proprie insicurezze.
Nella pellicola un ciclista viene investito e i due ragazzi si barcamenano nel tentativo di mostrare che non l’incidente non è colpa loro. Il responsabile al termine viene svelato e si scopre essere il ragazzo di Serena. Ma chi ha davvero investito il ciclista è una questione marginale, ciò che è interessante è quello che emerge dallo svolgersi della vicenda. Un corollario di vite a metà, sospese tra le aspettative degli altri e la voglia di emergere. Una carrellata di ottime qualità che spesso vengono fatte fruttare male o non trovano modo e spazio per essere coltivate. Il continuo e assiduo tentativo di migliorare e andare avanti, che in ultima analisi credo sia il vero capitale umano. C’è forse qualcosa di più vero e attuale di questo?