Il film di Barbie, uscito lo scorso luglio, firmato Greta Gerwig è stato un autentico fenomeno. Non esisteva anfratto tra i social e i telegiornali che non parlasse della pellicola. Il successo è stato incredibile e lo ha posizionato il film come campione di incassi del 2023.
Ma perché ha incontrato il favore di un numero tale di spettatori? Il pubblico lo ha acclamato e sebbene la trama possa sembrare banale Greta Gerwig è riuscita a confezionare una pellicola di un’ora e mezza estremamente fruibile, estetica e ricca di temi interessanti.
Tra estetismo e riflessione sociale
Anzitutto bisogna fare un appunto sul fatto che il film è estetico. Perché anche questo aspetto è fondamentale. Tutto il set è perfettamente coordinato in termini di colori e sfumature, tutto è rosa e si abbina con il resto.
A noi che siamo cresciuti con il gioco della Mattel fa inoltre piacere rivedere che con la stessa minuziosità vengono ricreati sulla pellicola un’infinità di accessori e play set che molti di noi hanno avuto la fortuna di avere o di desiderare (il camper di Barbie rimane ancora un desiderio mai esaudito)
Gli abiti sono coordinati e in perfetto stile Mattel, ma firmati Chanel. Non a caso la scelta di questo brand è in linea con il messaggio di potere femminile che vuole trasmettere il film. Coco Chanel è da sempre considerata una delle stiliste più talentuose del secolo scorso ed è riuscita ad affermarsi in un mondo, quello della moda, che era nelle mani di uomini.
E questa tematica ritorna più e più volte nel film di Barbie. La protagonista, Barbie stereotipo, interpretata da Margot Robbie, viene improvvisamente catapultata da Barbieland al mondo reale. Da un luogo governato da donne al mondo reale, dove al contrario le donne non hanno ancora trovato la propria affermazione. L’idea che la realtà sia una dimensione dove le donne riescono ad avere il proprio spazio, emancipandosi trova il suo scontro da subito con le occhiate malevole e i commenti inappropriati degli uomini, al solo passare di Barbie per strada. “Sono imbarazzata di me stessa” pronuncia il personaggio di Barbie “con un sottofondo di violenza”.
Aggiunge poi, attonita nell’apprendere che anche la stessa Mattel è nelle mani di soli uomini, che “O ti fanno il lavaggio del cervello o sei brutta e stramba”.
E per una Barbie è l’incubo peggiore, quello di apparire poco attraente agli occhi degli altri.
In realtà il mondo di Barbie, interamente governato da donne e con i Ken, gli uomini, considerati come accessori, è altrettanto distopico quanto una realtà che è guidata da figure maschili. L’inversione continua dei ruoli di potere riesce a sottolineare come è possibile dalla parte dell’oppressore e allo stesso modo, in situazioni diverse, dalla parte dell’oppresso. Barbieland non è dunque un semplice inno al femminismo, inteso come obiettivo di conquista delle cariche sociali e lavorative da parte delle donne a discapito degli uomini, ma lascia trasparire uno spiraglio di scenario anti-distopico, in cui uomini e donne hanno eguali possibilità di seguire le proprie aspirazioni.
La figura di Ken è altresì interessante. Ken, come bambola, nasce come fidanzato di Barbie, questo è scritto sulla scatola. E ciò viene rappresentato perfettamente nella pellicola di Greta Gerwig. Ken vive esclusivamente in funzione di Barbie, per lui è un grande giorno solo se Barbie lo guarda. Inizialmente non ci è dato sapere nemmeno dove vive o quali passioni abbia realmente, se non quella di impressionare Barbie. Nel momento del viaggio, quando Barbie stereotipo lascia Barbieland, Ken si nasconde nella sua auto per poterla accompagnare, non sopporta l’idea di vederla andare via. Al contempo Barbie è contraria agli intenti di Ken, perché teme che la potrebbe rallentare.
In questo la Mattel ha marciato sopra. È importante sottolineare come in una relazione funzionale ci debba essere rispetto e considerazione reciproci, nessuno deve vivere in funzione dell’altro né tantomeno annullarsi per far piacere all’altro, che si tratti di uomo o donna questo è indifferente. Sicuramente Barbie, intesa come bambola e come ideale che ha visto crescere generazioni di bambine etero, che poi hanno avuto relazioni con uomini etero, non ha aiutato positivamente in questo.
L’idea che una donna debba servire un uomo è aberrante, ma lo è anche a parti inverse. Troppe donne ancora credono che l’uomo giusto, il principe azzurro, sia quello che le vizia ed accondiscende ad ogni desiderio. “Perché se mi accontenta, vuol dire che mi ama”. Non potrebbe esistere un ragionamento più tossico di questo e la pellicola riesce a sottintenderlo in maniera molto mirata.
Le teorie filosofiche nascoste nella pellicola
Ma ora veniamo alla parte filosofica, che è sempre la mia preferita. Come sostiene il personaggio di Ruth, creatrice storica di Barbie, gli uomini passano ma le idee restano. Le idee, infatti, si ripropongono in diversi contesti ed è interessante notare come pensieri che hanno trovato spazio nella penna di pensatori e filosofi del secolo scorso riescano a calzare a pennello anche in un contesto come quello del film di Barbie.
L’ESISTENZIALISMO DI HEIDEGGER
La realtà e il mondo perfetto nel quale Barbie stereotipo conduce le sue altrettanto perfette giornate, vengono turbate da “pensieri di morte”. In “Essere e tempo” Heidegger spiega in maniera molto approfondita come la morte sia parte integrante dell’essere umano. Noi siamo esseri per la morte, il che significa che ogni possibilità di scelta che caratterizza la nostra vita viene depossibilizzata soltanto da qualcosa che ci accomuna e dalla quale non è possibile sfuggire, ovvero la morte.
Questa consapevolezza provoca in noi un’angoscia, un senso di impotenza e una perenne voglia di sfuggire da qualcosa che ci raggiungerà in ogni caso. Nella pellicola questo viene mostrato molto bene nelle continue crisi esistenziali di Barbie, che poi riesce ad affrontare e superare, nella consapevolezza che ciò che dà un senso all’esistenza è proprio la sua finitezza.
IL FLASHBACK PROUSTIANO
Nella sua famosissima opera “Alla ricerca del tempo perduto” Proust mostra come da un qualsiasi oggetto o profumo può nascere in noi un autentico flashback che ci riporta al passato. Per l’autore era la madeleine, un piccolo dolcetto che egli gustava in passato insieme al the. La madeleine proustiana è diventata una metafora per indicare il fatto che qualsiasi oggetto o gesto o particolare della nostra vita quotidiana può evocare in noi un ricordo che ci riporta direttamente al passato.
Barbie, una volta giunta nella sede della Mattel, viene incalzata nel ritornare nella sua scatola originaria, il che provoca in lei un vero e proprio flashback proustiano, per altro direttamente citato nel film. Questo fa riemergere in lei sentimenti e sensazioni che pensava perdute.
IL SÍ ALLA VITA PRONUNCIATO DAL SUPERUOMO DI NIETZSCHE
Nietzsche nel suo celebre “Così parlò Zarathustra” delinea le caratteristiche della figura del Superuomo. Un ultra uomo in grado di accettare l’eterno ritorno dell’uguale. Se qualcuno ci dicesse che siamo destinati a rivivere la nostra esistenza giorno per giorno, allo stesso modo, all’infinito, come reagiremmo? Probabilmente ne saremmo spaventati e angosciati. Il Superuomo al contrario è colui che accetta il suo destino, lo contempla e lo interiorizza, pronunciando un sonoro sì nei confronti della vita.
Nella pellicola questo è perfettamente rappresentato dalla scena finale, quando Ruth, creatrice di Barbie, le illustra le implicazioni e le limitazioni dell’essere umano. Parte una carrellata di immagini di vita quotidiana, di bambini e anziani ed esperienze che si susseguono senza fine. A quel punto Barbie pronuncia un “Sì” che risulta molto essere un consenso alla consapevolezza del ciclo infinito della vita di per sé, dell’essenza dell’uomo, che poi coincide con le sue idee ma anche con la sua irrimediabile finitezza.