Viaggiare non significa soltanto visitare nuove mete o ammirare paesaggi mozzafiato. Viaggiare, in senso autentico e profondo, è prima di tutto un modo per scoprire se stessi. Lo diceva anche Nietzsche: il viaggio è una delle esperienze esistenziali più complesse, ma anche più rivelatrici. Una sfida interiore, spesso faticosa, ma capace di innescare una trasformazione continua e duratura.
Il viaggio, anche quando è fisico, è sempre metaforico: ci spinge fuori dalla nostra zona di comfort, ci mette alla prova, ci costringe a confrontarci con i nostri limiti. In un mondo dove la routine quotidiana ci anestetizza, è proprio nel cambiamento improvviso di abitudini che possiamo ritrovare la nostra essenza.
Il viaggio come esperienza trasformativa
Oggi ci chiediamo se il viaggio conservi ancora quel valore profondo e autentico che lo ha reso, per secoli, sinonimo di avventura, conoscenza e cambiamento. La poesia del viaggio è difficile da sradicare, ma rischia di perdersi di fronte al desiderio primo di mostrare.
Il viaggio racchiude in sé l’essenza del dinamismo: partenza e arrivo, perdita e scoperta. Ma siamo ancora capaci di viverlo pienamente? O è diventato solo una breve parentesi, spesso frettolosa, per sfuggire alla monotonia quotidiana? Spesso le alte aspettative vengono disattese, e il viaggio si riduce ad una breve parenesi che racchiude esperienze frammentate.
Dal viaggio alla vacanza: una disillusione contemporanea
Negli ultimi decenni, il viaggio è diventato anche status symbol. La ricerca dello “spot perfetto” – instagrammabile e accessibile – ha spesso sostituito la vera curiosità per il mondo. Strutture iper-confortevoli, avulse dal contesto, cancellano l’imprevedibilità e l’autenticità di un territorio. Così, quella che dovrebbe essere un’esperienza culturale si trasforma in un’esperienza di consumo.
Lo aveva già intuito Claude Lévi-Strauss in Tristi Tropici (1955): “Viaggi, scrigni magici pieni di promesse fantastiche, non offrirete più intatti i vostri tesori…”. Una riflessione che oggi risuona ancora più attuale, in un’epoca segnata dal fenomeno dell’overtourism. Promuovere un territorio non è di per sé sbagliato. Ma ci si dovrebbe interrogare sul perché si desideri farlo conoscere. Non è forse proprio l’elemento sconosciuto, intimo, non ancora raccontato, a rendere affascinante un luogo?
Visitare una nazione limitandosi ai luoghi più famosi rischia di offrire un’immagine parziale, quando non distorta, della sua identità. Inoltre, la durata media dei viaggi si è accorciata per motivi economici e lavorativi. Viaggiare nel senso poetico e filosofico che spesso abbiamo in mente, come esperienza alla scoperta di qualcosa di nuovo dove poter misurare se stessi, è un privilegio per pochi.
Il coraggio di viaggiare davvero
La storia ci insegna che anche nel passato viaggiare non era per tutti. Cristoforo Colombo, Platone, Galileo Galilei: figure straordinarie in un contesto in cui la maggior parte delle persone non si spingeva oltre il proprio orizzonte. Oggi, le tecnologie e i voli low cost hanno reso il viaggio più accessibile, ma il tempo e le risorse restano limitati. Spesso ci si adatta a formule standardizzate: tour veloci, pasti in catene globali, e una corsa frenetica da un’attrazione all’altra. Dunque, non solo non si ha il denaro per godersi un viaggio senza rincorrere l’offerta last minute che in una settimana ci mostra tutte le attrazioni di uno o più Paesi, ma non si ha neppure il tempo. O meglio lo si avrebbe come aut aut, viaggiare oppure tutto il resto.
E se Coelho diceva che il viaggio non è mai una questione di soldi, ma una questione di coraggio, forse sotto sotto è proprio quello che ci manca. Contrattiamo con noi stessi la voglia di girare il mondo con un weekend al mare. Se poi è vero che durante il viaggio è più facile trovare se stessi, allora serve davvero coraggio.